Il crollo del consumo della carne di cavallo – paventato in alcuni recenti comunicati che si sono basati sui dati Istat – in realtà non c’è mai stato.
A tutt’oggi resta comunque difficile e caotico inquadrare complessivamente il sistema di macellazione per la produzione di carne equina poiché persevera una certa disomogeneità, a partire dai semplici dati statistici che risultano incerti, lacunosi e poco chiari.
Nel 2017 l’Istat, che procede secondo la metodologia di raccolta dati a campione, ha indicato che gli equidi macellati erano stati 28.181, mentre il Ministero della Salute, attraverso la Banca Dati Nazionale dell’Anagrafe Zootecnica (BDN) ne aveva registrati 46.053.
Come affermiamo da anni, le origini del problema vanno ricercate nell’anagrafe equina che non ha una gestione unica ed uniforme sul territorio nazionale e non garantisce la tracciabilità degli animali. La Banca Dati Equidi, gestita dal Mipaaf – Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (il che è già un’anomalia, visto che le anagrafi degli altri animali sono in capo al Ministero della Salute) è più che mai frastagliata: i registri delle razze Sella Italiano, Purosangue e Trottatore fanno capo allo stesso Mipaaf, mentre i registri di alcune altre razze (es. Cavallo Arabo, Maremmano, ecc…) fanno capo a singole associazioni di categoria. La banca dati dei cavalli non appartenenti a specifici registri fa capo alle Associazioni Provinciali degli Allevatori. Tutti questi enti non sono collegati tra loro e non esiste una unificazione dei dati: infatti non sappiamo neanche quanti cavalli abbiamo sul territorio nazionale.
Per quanto riguarda le regioni dove vengono macellati più equidi, anche nel 2017 svetta col suo triste primato la Puglia con 15.591 (pari al 35% del totale). Seguono Veneto con 9.439 (20%), Emilia Romagna con 6.215 (13%), Sicilia con 4.969 (11%), Lombardia con 2.747 (6%) e Piemonte con 2.189 (5%). Molto più bassi i numeri nelle altre regioni.
Non esiste ad oggi una tracciabilità delle carni equine che vengono immesse nel circuito commerciale: neanche a livello europeo è stato ancora imposto un regime di etichettatura pari, ad esempio, a quello dei bovini.
Basta andare in una qualunque macelleria o supermercato dove venga venduta carne equina e dare un’occhiata alle etichette, che non danno nessuna precisa informazione sulla provenienza di quelle carni.
Altra questione fondamentale riguarda la provenienza dei cavalli che arrivano al mattatoio. Secondo dati esposti qualche anno fa dalla Federazione degli Ordini dei Veterinari Italiani, solo il 10-15% dei cavalli macellati provengono da appositi allevamenti, cioè vengono fatti nascere e crescere per questo scopo: gli altri da dove provengono? E’ legittimo pensare che una buona parte di cavalli arrivi al mattatoio dai circuiti dell’ippica e degli sport equestri: magari cavalli sportivi a fine carriera che non sono ormai più performanti, oppure cavalli che, dismessi dall’attività agonistica, vengono utilizzati in maneggi, scuole di equitazione e per passeggiate turistiche finché non sono “da rottamare”. Il dubbio è rafforzato dalla lettura dei dati statistici del Ministero della Salute. Se ad esempio si esamina l’anno 2015 si nota che, di 49.350 capi macellati, 22.640 risultano importati mentre i totali iscritti in BDE, tra importati e italiani, sono 13.438. Nel 2016 i dati relativi ai cavalli iscritti in BDE si fermano ad aprile, per poi sparire del tutto nel 2017.
E i controlli allora? Nel 2011 il Responsabile del Servizio Veterinario e Igiene degli Alimenti della Regione Emilia Romagna indirizzava alle Asl di quella regione ed al Ministero della Salute un documento che aveva come oggetto le “indicazioni inerenti il controllo degli equidi ai fini della macellazione”, dicendo che: “Un aspetto critico è rappresentato dalla commercializzazione degli equidi a fine carriera, che sono spesso ceduti dai proprietari a figure di commercianti indipendentemente che tali animali siano destinati alla Produzione di Alimenti (DPA) e non. Molti degli equidi che giungono agli impianti di macellazione della Regione figurano provenire da altri paesi UE e extra UE, con ulteriore aumento della casistica delle tipologie dei documenti di accompagnamento e identificazione. Fra le tipologie di equidi, quelle che hanno evidenziato maggiori criticità sono quelle con passaporto rilasciato all’estero, comprese quelle di equidi da macello. Infatti tali tipologie sono state oggetto di falsificazione di documenti”.
Uno scenario inquietante e che negli anni non è cambiato, come emerso anche in due investigazioni condotte da IHP in collaborazione con SkyTG24 e con Le Iene, che hanno svelato i trucchi per far “sparire” cavalli e farli arrivare al mattatoio clandestinamente:
Chi è convinto che sia consigliabile mangiare carne di cavallo ne decanta le presunte proprietà nutritive. Ma la carne di cavallo è davvero così speciale? Uno studio del 2012 del dottor Maurizio Ferri, medico veterinario Asl di Pescara e vicepresidente Unione Europea dei Veterinari Igienisti, informa che la carne di cavallo a livello microbiologico presenta lo stesso profilo delle carni bovine, ma che allo stesso tempo ha dei rischi, di livello variabile, associati alla presenza di patogeni, parassiti e metalli pesanti: in particolare Salmonella, Yersinia enterocolitica, Listeria monocytogenes, Trichinella e Cadmio, quest’ultimo oggetto di varie informative e allerte nell’ambito dell’Unione Europea per la sua pericolosità. Ma soprattutto il Dott. Ferri si sofferma sulla frequente e elevata presenza nella carne di cavallo del Fenilbutazione, un farmaco antinfiammatorio usato per il trattamento di alcune affezioni articolari, che ha una serie di effetti tossici sull’organismo umano e che per tale motivo è vietatissimo nei cavalli che sono destinati alla macellazione, mentre può essere usato nei cavalli NON DPA, cioè esclusi dalla macellazione: da qui l’ovvia conclusione che anche questi ultimi finiscano al mattatoio per vie traverse.
Foto/Fonte: IHP